La figlia della fortuna by Isabel Allende

La figlia della fortuna by Isabel Allende

autore:Isabel Allende [Allende, Isabel]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
pubblicato: 2011-12-15T08:02:00+00:00


“Gesù, Giuseppe e Maria!” esclamò Azucena facendosi il segno della croce, terrorizzata, non appena la vide.

“Dille di aiutarci,” chiese Tao Chi’en a Eliza in inglese, scuotendola affinché si riprendesse.

Eliza ci mise un buon quarto d’ora a tradurre balbettando le brevi istruzioni di Tao Chi’en, che aveva estratto la spilla con i turchesi dal sacchetto dei gioielli e la brandiva davanti agli occhi della tremante Azucena. L’accordo, le disse, consisteva nello scendere due volte al giorno a lavare Eliza e a darle da mangiare senza che nessuno se ne accorgesse.

Se l’avesse rispettato, a San Francisco la spilla sarebbe stata sua, ma se avesse detto una sola parola a qualcuno, l’avrebbe scannata. L’uomo si era tolto il coltello dalla cintola e glielo stava passando davanti al naso, mentre con l’altra mano levava in alto la spilla, per far sì che il messaggio risultasse ben chiaro.

“Hai capito?”

“Di’ a questo disgraziato di un cinese che ho capito e che può metter via il coltello; che, se si distrae un momento, senza volerlo mi manda all’altro mondo.”

Per un lasso di tempo che sembrò interminabile, Eliza si dibatté nei deliri della febbre, assistita da Tao di notte e da Azucena Placeres di giorno. La donna approfittava delle prime ore della mattina e di quella della siesta, quando la maggior parte dei passeggeri sonnecchiava, per squagliarsela con circospezione in cucina, dove Tao le consegnava la chiave. Le prime volte scendeva nella stiva con una fifa maledetta, ma ben presto la sua buona indole naturale e la spilla ebbero la meglio sulla paura.

Iniziava con lo strofinare Eliza con uno straccio insaponato per toglierle il sudore dell’agonia e poi la obbligava a mangiare le pappe di latte e avena e i brodi di gallina con riso irrobustiti con tangkuei che Tao Chi’en preparava, le somministrava le erbe che lui le prescriveva e di sua iniziativa le dava una tazza al giorno di infuso di borragine. Confidava 158

ciecamente in quel metodo per ripulire il ventre da una gravidanza; borragine e un’immagine della Vergine del Carmine erano stati i primi oggetti che lei e le compagne d’avventura avevano collocato nei bauli da viaggio, perché senza quella salvaguardia le strade della California potevano rivelarsi dure da esplorare. L’ammalata vagò persa negli spazi della morte fino alla mattina in cui attraccarono nel porto di Guayaquil.

Alla piccola borgata mezzo divorata dall’esuberante vegetazione equatoriale, approdavano poche barche e solo per commerciare frutti tropicali e caffè, ma il capitano Katz aveva promesso di consegnare delle lettere a una famiglia di missionari olandesi. Quella corrispondenza si trovava nelle sue mani da più di sei mesi e non era uomo capace di mancare alla parola data. La notte precedente, in preda a una calura simile a un rogo, Eliza aveva sudato la febbre fino all’ultima goccia, aveva sognato di scalare a piedi nudi l’incandescente pendio di un vulcano in eruzione e si era svegliata inzuppata ma lucida e con la fronte fresca. Tutti i passeggeri, donne comprese, e buona parte dell’equipaggio, scesero per un paio d’ore per sgranchirsi



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